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Errata diagnosi: donna risarcita con 92mila euro
Maxi risarcimento per errata diagnosi. Siamo a dicembre del 2016 quando una donna si reca presso una clinica privata della provincia di uno dei capoluoghi lombardi, previo appuntamento, per un controllo a seguito di diversi casi di neoplasia mammaria riscontrati in famiglia.
L’esito dell’esame, documentato su pellicola radiografica, mostra una chiara immagine di una elevata densità nodulare al seno sinistro. Questo risultato però non viene accuratamente tenuto in considerazione, producendo un referto che verrà definito poi del tutto superficiale e indifferente rispetto ai risultati riportati dai radiogrammi.
Un’errata diagnosi che ha comportato una perdita di chance di sopravvivenza
È stata proprio questa trascuratezza nella lettura del referto a comportare il ritardo della giusta diagnosi (e quindi della giusta terapia) di patologia oncologica, nello specifico caso tumore della mammella, che verrà poi riscontrato solamente l’anno successivo, in seguito ad un ulteriore controllo effettuato dalla paziente presso la sede di un’azienda ospedaliera pubblica.
Purtroppo, a questo punto, la malattia risulterà progredita e peggiorata notevolmente, passando da quello che presumibilmente sarebbe stato un tumore al I stadio nel 2016 a quello poi rivelatosi di III stadio nell’anno successivo. Questo ritardo nella diagnosi ha comportato per la paziente una notevole perdita di chance di sopravvivenza oltre che un peggioramento delle possibilità di guarigione.
Oltre al tumore della mammella sinistra, le indagini strumentali effettuate presso questa seconda struttura specializzata oncologica, hanno evidenziato anche la presenza di un carcinoma infiltrante G2/G3 di tipo duttale al seno destro, a suggerimento di una evoluzione verso l’anaplasia della forma tumorale maggiore al seno sinistro, lasciata libera di progredire ed accrescersi. A causa della situazione ormai progredita l’unica possibilità di utile intervento chirurgico si è rivelata essere quella dell’operazione di mastectomia bilaterale, con l’asportazione di entrambi i seni della paziente.
I dati da conoscere per comprendere l’entità del danno
I pazienti a cui viene rimandato il trattamento del cancro, perfino di un mese, possono presentare in molti casi un incremento relativo del rischio di morte, dal 6% al 13% in più rispetto al rischio di chi riceve il trattamento nei tempi ottimali, rischio che continua ad aumentare quanto più a lungo si ritardano le cure. È quanto evidenzia una ricerca pubblicata online sul The BMJ.
Secondo Massimo Di Maio, segretario AIOM (associazione italiana di oncologia medica), il tema dell’impatto negativo dell’eventuale ritardo nelle terapie antitumorali, in alcuni conseguente anche a tardiva diagnosi, è stato oggetto di numerosi studi pubblicati in letteratura.
L’analisi si è concentrata sui trattamenti somministrati con l’obiettivo della guarigione e si tratta, naturalmente, di studi osservazionali, che hanno “fotografato” le differenze di mortalità tra gruppi di pazienti divisi sulla base del tempo trascorso prima del trattamento.
Secondo i risultati, per molti tipi di trattamento e in numerosi tipi di tumore, i dati documentano un impatto significativamente negativo del ritardo in termini di aumento di mortalità (e quindi riduzione delle chance di guarigione). Nella maggior parte dei setting in cui l’evidenza a disposizione era sufficiente per produrre risultati affidabili, un ritardo nella chirurgia, o nella radioterapia, o nella chemioterapia si traduce in un aumento del rischio di morte di vari punti percentuali.
Quattro settimane di ritardo rispetto alle tempistiche considerate ottimali possono sembrare poche, eppure i risultati della metanalisi, suggeriscono che anche un ritardo di quattro settimane può tradursi in un aumento statisticamente significativo della mortalità, e chiaramente saranno ancor peggiori le conseguenze di ritardi più lunghi.
Il caso giudiziario che ha comportato a confermare l’errata diagnosi medica
Attraverso il supporto di pareri tecnici autorevoli ed attendibili si è potuta intavolare una seria trattativa con la compagnia assicuratrice dell’operatore sanitario responsabile dell’errata diagnosi, che ha comportato ad una tardività nel processo di cura, riconosciuto nella figura dell’operatore sanitario radiologo che, leggendo in modo scorretto le immagini dell’esame strumentale effettuato presso la clinica privata nel 2016, non propose subito il completamento diagnostico del caso, corrispondente ad ulteriori ecografie ed esami di tipo citologico, conclamando così per i legali e il giudice il caso di diagnosi tardiva di tumore, corrispondente ad un risarcimento in denaro dell’ammontare di 92mila euro, da corrispondere alla signora vittima di malasanità.
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